Il nostro Studio ha seguito un noto produttore italiano di conserve alimentari che dal 2014, con il consenso di una società X, titolare di un noto marchio Z di pomodori, produceva in Italia ed esportava in Australia prodotti conservieri con il marchio Z.
A seguito del fallimento della società X il marchio italiano veniva acquistato da una nuova società Y, la quale senza tenere conto dei predetti accordi relativi alla possibilità di produrre in Italia ed esportare in Australia i prodotti a marchio Z, richiedeva il blocco doganale dei prodotti e nel contempo instaurava un giudizio cautelare finalizzato all’inibizione della produzione in Italia e commercializzazione dei prodotti con il marchio Z in Australia.
Il Tribunale di Napoli – Sezione Specializzata in materia di Impresa – con una interessante ordinanza emessa a valle di un articolato scambio di memorie ha ritenuto che l’uso consentito, sin dal 2014, dei “marchi australiani” nel territorio italiano “limitato alla etichettatura della merce prodotta in Italia con il sistema della lavorazione per conto, e alla sua esportazione in territorio australiano…” in cui la società cui sono destinati, legittima titolare dei marchi australiani, vanta il diritto esclusivo alla distribuzione, commercializzazione e vendita dei suddetti prodotti, non deve ritenersi confliggente e interferente con il regime nazionale di esclusiva, posto che sul mercato italiano non sono presenti prodotti della resistente, nostra Cliente, con i marchi “australiani”, in quanto unicamente destinati alla distribuzione e commercializzazione in territorio australiano. Per il Tribunale “l’uso prolungato nel tempo esclude de facto la possibilità di opporre l’esistenza del rischio confusione. Del resto, il processo logistico in precedenza riportato della produzione, etichettatura e successiva esportazione lascia intravedere come il prodotto distribuito e venduto in Australia, giammai viene commercializzato e/o portato a conoscenza del consumatore presente in territorio italiano, con esclusione, in nuce, di qualsivoglia confusione del marchio da parte del consumatore che acquista solo prodotti con i marchi italiani”.
Inoltre il Tribunale ha precisato che nel bando di vendita fallimentare, così come sostenuto dalla difesa, proprio in relazione all’oggetto della controversia, era previsto che la vendita dei marchi della società X sarebbe avvenuta nello “stato di fatto e di diritto” in cui i marchi si trovavano, precludendo così ogni possibilità per la società acquirente di agire nei confronti della società Cliente essendosi venuta a realizzare una sorta di “coesistenza impropria” tra marchi. Parimenti il Tribunale ha asserito che essendo la destinazione della merce inconfutabilmente al di fuori dell’Italia nessun atto di concorrenza sleale sarebbe individuabile nel caso di specie.
Alla luce dell’emanando provvedimento di rigetto dell’istanza cautelare, anche in sede penale la merce è stata dissequestrata.